mercoledì 13 febbraio 2008

Via con me

Febbre, quasi passata, quasi lontana. Voglia, di tutto e, contemporaneamente e prevedibilmente, di niente. Vizio. Questo è quello che io chiamo il vizio. Supino, disteso tra il cerchio e la botte, l'ozio e l'oppio. L'anticamera e il bagno. No. Non sto impazzendo, mi sto solo regalando qualche attimo di libera associazione mentale, un po' al topazzo pazzo di Gadda, prima di tornare alla sterile graficità degli schemi di modalizzazione greimasiana.
C'è chi direbbe che sterili non sono, forse sterile è il punto di vista. L'occhio, la mano, il respiro.
Ricollegandomi alla Coney Island e al quesito di Emiliano, come Stephan George, anch'io credo che "nessuna cosa sia, là dove la parola manca" e, dal basso del mio sapere, posso dire di non essere l'unica. Con me, due generazioni di filosofi e linguisti, Heidegger, Gadamer, Edelman. La Di Cesare. Sono in buona compagnia.
Anche se non me ne faccio nulla adesso, mentre sfebbro, sudo e un po' forse deliro. Dovrei solo andare a morire lontano, come gli elefanti, a leccarmi le ferite, in un altrove anche privo di parole.
E di dolore.

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