venerdì 13 giugno 2008

Elogio del polpo

Dopo una lunga notte di strani commenti e ambienti smascellanti, accadde che il mio amico L. ed io ci trovammo, nel bel mezzo di un'alba in acquerello, tutti sorridenti al mercato del pesce. Sullo sfondo la città e il qurtiere rosso, non tanto per le attività che vi si svolgono, comunque di dubbia legittimità, quanto piuttosto per i suoi monumenti ed edifici che, se non in mattoncini effettivamente rossi, vengono arbitrariamente armonizzati dagli abitanti nei toni del porpora, sanguinaccio, tiziano, terra di siena, rosa antico, e così via. Questo sfondo, proiettato sulla linea dell'orizzonte, e sull'Elba che a quell' ora di tutto si appropria e tutto riflette, profuse sugli astanti e, inevitabilmente, anche su noi due poveri mezzi turisti, una tale euforica ebbrezza da poter esser facilmente scambiata per deficienza. Decidemmo così che avremmo potuto, e dovuto, acquistare del pesce. Se non fosse che, alla prima birra del mattino, venimmo colti da un inspiegabile entusiasmo alla vista di un polpo in primo piano tra tutte le altre creature marine. Tanti furono i motivetti folkloristici, suonati dal vivo, che accompagnarono l'oscillare del suddetto nella misera sportina, tanto che il più delle volte dovevo staccarmela dal polpaccio e più volte con la sua massa fredda mi dilettavo a colpire la spicciola virilità crucca che mi si dibatteva tutta intorno. Quel misero, squisito animaletto divenne l'inaspettata rivelazione di un after privo di elementi stupefacenti, e grande fu la nostra soddisfazione nel costatare, ormai desti nel tardo pomeriggio, la sua presenza in cucina.