mercoledì 6 febbraio 2008

Lingua, memoria, Coney Island

La lingua, come Leila ci insegna (in tedesco!), è strumento di conoscenza del mondo, diaframma tra il nostro essere e ciò che sta fuori.
E se questo fosse valido anche per ciò che sta dentro di noi? Se la conoscenza di noi stessi fosse linguisticamente mediata o, in generale, si desse tramite un suo linguaggio?
Una cosa credo certa: capiamo del tutto sensazioni e sentimenti solo quando li riusciamo a nominare. Le parole sezionano ed evidenziano quelle essenze che si intrecciano sfumandosi nel nostro stomaco e nella nostra testa, che ci fanno magiare le unghie e dolere le ginocchia.
E' per questo che ci fa bene proiettare sul foglio di carta parole, parole, parole, no?
Bene, secondo voi la memoria funziona allo stesso modo?
A volte mi considero un gran smemorato. Faccio fatica a ricordare viaggi, esperienze passate. Ci sono, ma addormentate in un angolo nascosto della mia mente. Mi serve uno stimolo, una torcia che faccia luce laggiù, dove c'è un po' di polvere.
Leila: "Com'è Coney Island?"
io: "Coney Island? ehm... bella... è un po' fuori New York... ehm... merita"
Inizio a rallentatore, sensazione di pescare dove non ci sono pesci. Ma ci sono stato? Sì, ci sono stato! Ora ricordo.
Coney Island è sul mare. Tre quarti d'ora da Manhattan, lasciandosi dietro grattacieli ed apparenze. E' vento fresco sul viso. E' puntare il dito verso l'orizzonte. Coney Island è sentire i piedi nudi sul legno, passeggiare tra i bagnanti e le bancarelle di dolciumi. Coney Island è nera e bianca, rossa e blu come la ruota panoramica. E' il saluto che fai a chi è rimasto a terra e aspetta di salire. E' un orso rosa gigante vinto al tiro a segno e le urla che vengono dall'autoscontro. A Coney Island puoi assaggiare gli hotdog più buoni di tutta New York. Pancetta, crauti, cipolla. Senape, maionese, ketchup. Salsa barbecue. Tutto quello che vuoi, tra bandierine gialle e verdi. Coney Island è l'uomo dei gelati, con carretto e ombrellino. E' il palloncino che il bimbo dietro di te indica e pretende, piangendo e tirando la gonna della mamma. Gruppetti di ragazzi che fanno breakdance a torso nudo. E' una giostra di colori e rumori, vociare di gente e silenzio del mare. E ogni tanto una sirena della NYPD e due poliziotti in moto che sfrecciano sulla strada: silenzio. Qualcuno ha fatto qualcosa da qualche parte. Ma cosa ci importa? Siamo a Coney Island.
Nella metro, tornando verso Brooklin, abbiamo sabbia nelle tasche.
Questo è quello che ricordo, venuto fuori un po' alla volta dopo che ero stato interpellato. All'inizio solo qualche immagine, poi un quadro sempre più vivido. Parola dopo parola ho recuperato la mia Coney Island.
Le parole fanno luce: sono le nostre torce.
Siete d'accordo?

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